Corrispondenza

Giuseppe Piroli a Giuseppe Verdi, 16/05/1868

Data

Data
16 maggio [1868]

Tipologia

lettera

Ubicazione presso il soggetto conservatore

Ubicazione
I-BSAv

Trascrizione

Ricevo la vostra del 13, che mi apre la via a parlarvi di un argomento, sul quale ieri per non consumarmi di rabbia mi sono sfogato col Broglio. Dico della parte avuta da questi nelle proposte al malaugurato e malcapitato Ordine della Corona d'Italia: aggravata dalla non so se io debba dire pazza o bestiale sua lettera al Rossini. Per Dio le sono cose che non si vedono che in Italia e che sembrano fatte apposta per dar ragione a coloro i quali alla nomina di certi ministri giudicano del basso stato della nostra civiltà. Come? un ministro protende cancellare dalla storia dell'arte e dai titoli che presso tutte le nazioni d'Europa fanno onorata la nostra patria il Bellini, il Donizetti, il Verdi? Come? un Broglio pretende farsi giudice al di sopra di tutti e mettere il Mercadante sopra di voi? Vi assicuro, carissimo Verdi, che ho bestemmiato come un fiorentino, e non ne ho taciuta una al buon ambrosiano, che ha portato al Ministero le idee di un abituato al caffè di Montevideo e di Fanfulla. Mi affretto a dirvi che essendo caduto necessariamente il vostro nome in mezzo al discorso non ho mancato di esprimere la mia convinzione che tutta questa roba vi farà ridere di pietà e di disprezzo; e benché entro di me presentissi la vostra determinazione. di cui più oltre, ho detto che il meno che possiate fare è gettare il diploma nelle carte fuori d'uso. Quando ci vedremo, e se ce ne ricorderemo, vi aggiungerò qualche particolare interessante Ma e quel vecchiaccio di Rossini (lo spregiativo è pel Suo carattere, s'intende) come va che non ha risposto per le rime, ed ha quasi col silenzio sopra i giudizii del Broglio accettata la responsabilità di tante bestemmie!... Io approvo perfettamente il vostro divisamento di rimandare la decorazione indecorosa; sarà una lezione aggiunta alle altre, e sopra tutte a quella del Sella che sotto diversi aspetti, benché a mio credere in condizioni di minor gravità, si trova nella posizione vostra. Io ritengo che immancabilmente vi sarà spedito il diploma: ma, come hanno fatto Sella ed altri, non vi è tolto di prevenirli, poiché la notizia ufficiale della vostra nomina fu riportata nella Gazzetta del regno. Io vi credeva ancora a Genova: contate di restare a Sant'Agata per tutta la estate? Io ho promesso a voi ed a me stesso di venire a passare alcuni giorni a Sant'Agata, e verrò sicuramente: ma non potrò che nel tempo delle vacanze, e spero che qualunque sieno i vostri progetti una parte dei mesi di agosto e settembre la vorrete pur dare alla tranquilla pace della vostra villa. Debbo ora entrare nella politica? Perché davvero le feste, i principi, le principesse, gli applausi non sono che pura e schietta politica; no, e dirò con voi lasciamo queste malinconie: però voglio dirne una. Io intendo benissimo che, nel giudicare ed apprezzare le condizioni nostre, anche tra amici, e tra persone che dividono gli stessi principî, vi siano delle divergenze; e aggiungo che chi è nel mezzo della scena e vi ha una parte, per quanto secondaria, è forse il meno atto a farsene un esatto criterio e ad abbracciare nel suo insieme tutti i rapporti che concorrono a determinare una data posizione. Un corista, un corifeo, anche un attore, è al certo nella impossibilità di afferrare l'insieme della scena; e lo spettatore col suo fischietto in mano è quegli che le 90 volte sopra 100 ha veramente razione. Così, penso, avviene nella politica, e così si spiega che e chi fischia ed i fischiati possono essere entrambi nella miglior buonafede del mondo. Vero è che lo stato di Italia è assai grave, e desta preoccupazioni legittime: e vero è ancora che se dagli effetti si giudicano le cause v'è proprio da dire che il partito che ha governato l'Italia fino ad oggi ha governato male; ma io temo un po' che noi italiani, avvezzati da molti anni ad attribuire al governo le cagioni di tutti i mali, non ci facciamo sempre una ragione sufficiente dei motivi che quasi di necessità ci hanno condotto a questi chiari di luna, o almeno delle circostanze attenuanti che la forza delle cose, le necessità in cui siamo stati di tenerci per più anni pronti ad una guerra, il bisogno di unificar le leggi, la creduta convenienza di far sparire ogni traccia dei governi passati, e mille altre concause, somministrano a chi vaglia discernere un po' il vero in mezzo a tanta anormale condizione di cose. Resterà sempre una larga dose di accuse agli uomini, è verissimo; ma vedremo ancora che molte cause di dissesto sono cessate; che molto si è fatto per rimediarvi; molto si è ottenuto e che con un ultimo sforzo ci salveremo. Voi dite: v'è chi grida e noi moriamo di fame. Queste vostre parole mi hanno colpito, perché accennano ad una gravità di male che deve mettere tutti in seria preoccupazione. Ma i lamenti non sarebbero per avventura eccessivi? Certo che se a Domenedio (poiché è tempo di lasciar il serio) piacesse di aggiungere ai nostri guai le cavalette che divorano la Sardegna; la perdita di raccolti ed aItri tali scherzi noi potremmo trovarci a ben brutto partito, ma speriamo che non sia; e auguriamoci che quel tanto che l'esattore lascierà ai cittadini sia sufficiente ad alimentare il lavoro, e a provvedere il pane al povero, a vantaggio del quale in ultimo risultato debbono pur sempre risultare anche gli aggravi pubblici che migliorando le condizioni del credito daranno vita e impulso alla attività commerciale e industriale oggi languenti. Carissimo Verdi, per stare un po' con voi ho fatto una tiritera noiosissima, ma è tempo che finisca, e se siete veramente pentito dell'avermi per tanto tempo lasciato senza una vostra lettera (da che io credo di essere stato l'ultimo a scrivervi) mostratelo col fatto e scrivetemi. Lavorate come un negro! Oh che! non avreste per caso dato mano alla vanga, né! Ma se i vostri lavori fossero di questa qualità intendo benissimo che quando date poi la mano ai giornali, già noiosissimi, vi prenda il sonno. Qui, delle feste passate resta l'eco nei teatri di musica, i quali però vanno a chiudersi. Ho riudita la Lotti, che cantava a Parma nel 1854, quando fu ammazzato il Duca, e mi pare siasi fermata là. Hanno dato, su altro teatro, il Matrimonio Segreto collo Scheggi (settuagenario) e tre o quattro cagnolini di artisti, e con una orchestra di una ventina di suonatori, e tra per il vezzo di qui di trovare tutto oro il vecchio, tra perché veramente in quella direi quasi nudità di forme campeggiano melodie semplici e simpatiche, ha fatto furore. Speravamo di udire il Don Carlo, ma le sorti della Pergola, battuta da contrari venti che la hanno sfrondata, non hanno permesso agli lmmobili (bei titoli, non è vero?) Accademici di pensarvi in tempo. Speriamo pel carnevale prossimo di udirlo e di poterlo riudire a nostro agio. E voi non vi eravate proposto di dare una gita a Firenze?? Insomma questi punti interrogativi sono per provocarvi a scrivermi; è inutile che vi dica di disporre di me, se mai posso in qualche cosa rendervi servizio, e salutando di cuore voi e la Sra Peppina vi stringo con affetto la mano. Vostro Piroli. P.S. Anche un post scriptum. Così è e per dirvi che se vi determinate ascrivere a questi signori, che non credete di doverli accettare come giudici delle vostre opere e che il Cibrario può servirsi del vostro diploma pel suo ta ... ario, indirizzate la lettera al Menabrea. Secondo post scriptum.. Nel decidervi a scrivere o no al Menabrea vedete un po' se essendo trascorso già qualche tempo dalla pubblicazione nella Gazzetta della vostra nomina non vi convenisse attendere la comunicazione personale.

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