Corrispondenza

Arrigo Boito a Giuseppe Verdi, 16/05/1886

Data

Data
Quinto, 16 maggio 1886

Luogo di destinazione

Luogo di destinazione
Sant'Agata

Tipologia

Lettera

Descrizione fisica

Un bifolio, quattro facciate scritte, con busta affrancata (20 cent.).

Ubicazione presso il soggetto conservatore

Ubicazione
I-PAas

Indirizzo (busta)

Giuseppe Verdi / Borgo San Donnino / per Busseto / Sant’Agata

Timbri postali

QUINTO AL MARE / 16 / MAG / 86
GENOVA FERROVIA / 16 / 5-86 / 12S
BORGO S. DONNINO / 17 / MAG / 86
BUSSETO / 17 / [MAG] / 86

Trascrizione


                                                                                                        Quinto 16.

Bravo!!! approvo pienissimamente quel taglio dei quattro versi che permette di trasportare l'entrata d'Otello sugli altri tre versi ch'ella mi cita. Ora, l'entrata che non ci accontentava e che si cercava è trovata, ed è splendida. Una possente esclamazione di vittoria che finisce in uno scoppio d'uragano e in un grido del popolo! Bravo, Bravo! eccellente anche l'idèa di fare dire quella frase su d'un punto alto della scena!
L'Edel ha già voluto per suo conto incominciare a prepararsi per lo studio dei costumi dell'Otello, mi ha chiesto la nota dei figurini ma non gliela ho voluta dare perché quella nota dobbiamo farla insieme io e Lei a S. Agata. Mi ha chiesto delle istruzioni intorno all'epoca storica e intorno ai pittori che dovrà studiare e queste istruzioni ho creduto opportuno di dargliele perché so che l'Edel è tanto pigro quanto è bravo ed ha bisogno di molto tempo per compiere un lavoro. Egli intanto si preparerà facendo delle ricerche e degli schizzi e aquistando delle fotografie. Spero di poter portare questo lavoro preparatorio dell'Edel a S. Agata e con quei materiali sott'occhio noi definiremo la scelta dei nostri costumi, dopo ciò egli dipingerà i figurini.
L'epoca (anzi quasi la data) della nostra tragedia si offre da se senza bisogno di logorarsi il cervello per ricercarla. Cinzio Giraldi che, come ella sa, è la fonte della tragedia di Schakespeare, ci dà due limiti di tempo fra i quali sta la data del fatto d'Otello. Stacco una pagina di una brutta edizione economica degli Ecatomiti perché serva a Lei di documento. È una pagina del Proemio. Cinzio Giraldi, imitando il Decamerone anche in ciò, inquadra la raccolta delle sue cento novelle in una cornice storica. Finge che codeste novelle sieno raccontate in una compagnia di fuggiaschi dal sacco di Roma nel 1527, proprio come fa il Boccaccio nel proemio delle novelle sue dove le immagina narrate dai fuggiaschi della peste di Firenze. Dunque: 1527, ecco non già una data ma un dato che ci serve. Un'altro dato Lei lo ha sottomano: apra il mio volume di Schakespeare che è rimasto a S. Agata, cerchi la novella del Giraldi che vi è tradotta e troverà nelle prime linee come il fatto cruento d'Otello e di Desdemona sia accaduto poco tempo prima. Dunque l'epoca nostra è fissata così dal Giraldi: poco tempo prima del 1527. Io credo di non aver errato designando all'Edel per limite estremo il 1525. Un pajo d'anni di margine fra il fatto e il racconto del fatto non mi pajono troppi. L'Edel, dunque, a mio giudizio, non deve oltrepassare nei suoi studi il 1525, ma prima di quella data estrema deve avere un largo spazio d'anni da consultare. Le vesti d'allora mutavano meno rapidamente di quello che mutino adesso. Oggi stesso, dove c'è molta gente, vediamo rappresentata una trentina d'anni di mode, il mantello all'Italiana che Lei porta ancora ne è una prova e i colletti alti delle sue camicie un'altra prova! trent'anni separono questi dall'altro. Ho consigliato al nostro Edel di studiare i pittori Veneziani degli ultimi anni del 1400 a tutto il primo quarto del XVI° secolo. Per nostra fortuna i due grandi documenti di quel giro d'anni sono Carpaccio! e Gentile Bellini! Dai loro quadri esciranno le vesti dei nostri personaggi.
Ho fatto bene? ho fatto male?
Se ho fatto male siamo sempre in tempo di correggere il male fatto.
Saluti cordiali alla Signora Giuseppina.
Una buona stretta di mano a Lei
                                                                                                          suo
                                                                                                      A. Boito


[Allegato a stampa]

     Dico adunque, ch'essendo già corsi gli anni male cinquecento ventisette dopo che il verace Figliuolo d'lddio, per la salute dell'umana generazione, nacque uomo fra gli uomini, uno signore Alamanno, tratto dall'odio, che ed egli e molti di quella nazione (per instigazione di alcuni che, tocchi da maligni spiriti, armarono la lingua e la penna altresì contra la santa e cattolica chiesa romana) portavano alla santità del papa, e a tutto quel sacratissimo ordine dei santi prelati, messo in punto un grossissimo e potentissimo esercito di gente alamanna, macchiata della pestifera eresia di Lutero e dei suoi seguaci, a gran cammino in Italia si venne, tratto da iniquo pensiero, non pure di distrugger Roma, patria comune a tutte le nazioni, ma di dare indegnamente con le sue mani al papa morte, con un capestro d'oro, ch'egli per impiccarlo portava con esso lui. Questi giunto in Italia, quando più sperava di condurre a fine la sua perversa e malvagia opinione, quasi che dalla divina giustizia fosse percosso, paralitico cadde, e perciò divenne non atto alla battaglia. Ma non mancarono altri capitani barbari tra quelle genti, che tratti dal medesimo odio e dall'ingordo desiderio del guadagno, tennero unito l'esercito tedesco, per condurre a fine quella iniqua e scellerata impresa. Aggiunse alle costor forze le sue un capitano1, molto esercitato nelle imprese della guerra, e a tutto quell'esercito si fe' duce, e dopo molti ravvolgimenti da lui fatti, con cammino fuori d'ogni opinione veloce, a Roma se n'andò, la quale ritrovò di pochissima gente d'arme fornita; perché, ancora che il papa2 avesse avuto di questo esercito contezza, nondimeno, avendo egli creduto alle parole d'alcuni potenti signori, dal cui volere gli parve che questa gente pendesse, avea data licenza quasi a tutte le genti d'arme, ch'egli si ritrovava avere in Roma per sua difesa. Questo accrebbe al capitano dei nemici e a tutto il campo l'animo d'assalirlo, con ferma speranza della vittoria. Avendo adunque il capitano maggiore a' dì sei di maggio steso l'esercito intorno al borgo di S. Pietro, e volendo salire il muro, per dar poi l'assalto alle antiche mura di Roma e farsi per esse la via ad entrare nella città, egli, come io credo, per voler divino se ne rimase morto dal colpo di una palla d'archibuso, che il percosse nel manco lato alla anguinaglia. la qual morte non fu però così subita

Note

In allegato, le pagine 17 e 18 delle Novelle scelte dagli Ecatommiti di Giovanbattista Giraldi Cinzio, a cura di G. Angeli, Torino, Tipografia e Libreria Salesiana, 1882, vol. I 

Posseduto Insv
Fotocopia (n. 116/36)

Bibliografia
Carteggio Verdi-Boito, a cura di Marcello Conati, Parma, Istituto nazionale di studi verdiani, 2015, n. 86, p. 141

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Arrigo Boito a Giuseppe Verdi, 16/05/1886

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