Corrispondenza
Arrigo Boito a Giuseppe Verdi, [14/01/1881]
Data
- Data
- [Milano, 14 gennaio 1881]
Luogo di destinazione
- Luogo di destinazione
- [Sant'Agata]
Tipologia
- Lettera
Descrizione fisica
- Quattro bifolii, dieci facciate scritte, cuciti insieme a formare un fascicoletto. Le facciate scritte sono di norma quelle di destra. Il segmento da «Giulio Ricordi stette» alla firma compresa sono scritte sul verso della settima facciata scritta. Il testo dopo la firma è scritto sul verso della quarta facciata scritta. Sulla prima facciata, in alto a destra, di altra mano: «14/1».
Ubicazione presso il soggetto conservatore
- Ubicazione
- I-PAas
Trascrizione
-
Via Principe Amedeo. 1.
Maestro mio. Ho atteso la lettera ch’Ella m’annunciava col suo dispaccio prima rimettermi al tavolo per le nuove varianti. Ebbi la lettera jeri ed ecco il risultato d’un’attenta lettura di tutto ciò ch’Ella mi scrisse in questi giorni. Mi pare che il recitativo della Scena-Andrea e Gabriele dovrebbe arrivare sino alle parole In terra e in ciel, completando il verso, come dirò, e attaccando subito la parte lirica; p.e:
Andr. Di lei sei degno!
Gabr. A me fia dunque unita!
Andr. In terra e in ciel.
Gabr. Ah ! mi ridai la vita!
(con effusione)
Andrea: Vieni a me, ti benedico
Nella pace di quest’ora;
Lieto vivi e fido adora
L’angiol tuo, la patria, il ciel.
(Veda un oppure a tergo di questo foglietto)
Gabr: Eco pia del tempo antico
La tua voce è un casto incanto,
Serberà ricordo santo
Di quest’ora il cor fedel.
(squilli di trombe)
Gabr: Ecco il Doge – Partiam. Ch’ei non ti scorga.
Andrea: Ah! presto il dì della vendetta sorga.
Le pare che basti?... a me pare che basti; della congiura dei Guelfi è meglio, credo, non parlare confonderebbe forse le idee, sempre un po’ pigre, del publico e nuocerebbe alla chiarezza del finale. Se però Ella crede si debba parlarne niente le impedisce di conservare tal quale i sei versi del libretto primitivo che vengono subito dopo lo squillo.
Una osservazione. Sarebbe desiderabile che si potesse evitare, giunti a questo punto, il cambiamento di scena. Tre scene in un atto mi pajono troppe, distruggono quell’impressione d’unità così necessaria alla vita bene organizzata dell’atto. Pensi che di tutto il dramma questo giardino è la sola scena ridente. Tutte le altre sono gravi, solenni o cupe. Vi abbondano troppo gl’interni: Sala del Consiglio, Camera del Doge, aula Ducale. Poiché in questo principio del prim’atto siamo all’aria aperta restiamoci più che possiamo. Da un lato, nel fondo del giardino, ci possono stare un pajo di quinte rappresentanti l’ingresso del palazzo Grimaldi. Amelia verrebbe incontro al Doge sulla soglia del palazzo e la scena che segue troverebbe nel giardino il suo posto abbastanza naturale. Del resto non ci sarebbe ragione, se la scena mutasse, di allontanare Fiesco e Gabr. da un luogo dove il Doge, ch’essi fuggono, non dovrebbe mettere il piede. Ma non perdiamo tempo.
Scena VI
Doge, Paolo, ecc ecc.
Doge: Paolo.
Paolo. Signor.
Doge. Ci spronano gli eventi.
Di qua partir convien.
ecc. ecc...
con quel che segue così sarebbe raffazzonato alla bell’e meglio il verso del dì festivo.
Scena VII
Passo all’au... eo...
Mettiamo gloria invece d’aureola?
Di mia corona il raggio
La gloria tua sarà?
E poi vediamo se, trascrivendoli, i quattro versi nuovi s’intonano coi vecchi là dove Amelia risponde al padre: Amelia: Padre, vedrai la vigile
Figlia tua sempre accanto;
Nell’ore melanconiche
Asciugherò il tuo pianto...
Avrem gioje romite
Note soltanto al ciel;
Io la colomba mite
Sarò del regio ostel.
E per oggi mi sembra d’aver finito il mio compito; pronto a ricominciarlo in tutto ciò che non le garba.
La avverto, caro Maestro, che Giovedì partirò da Milano per recarmi a Padova. Mi fermerò una settimana in quella città per la cottura del Mefistofele e per servirlo caldo ai miei concittadini. Fino a Mercoledì sera potrò ricevere le sue lettere a Milano indi a Padova, Albergo della Croce d’oro. Ma pel 29 sarò tornato a casa.
Giulio Ricordi stette a letto, malato, molti giorni; non s’alza ancora ma sta meglio.
Tanti tanti saluti
suo
A. Boito
Oppure: La tua voce un eco, un canto
Quasi par del tempo antico,
Serberà ricordo santo
De’ tuoi detti il cor fedel.
Questi maledetti ottonari, Lei ha ragione, sono la più nojosa tiritèra del la nostra metrica. Li ho scelti per disperazione. Non volevo i settenari, per ché quasi tutto il libretto è, nella sua parte lirica in settenari, non volevo i quinari perché già in quel punto il vecchio testo è scritto in quinari e pensavo che forse lei sarebbe tornato di mala voglia al vecchio ritmo.
Note
- –
Posseduto Insv
Fotocopia (n. 116/4).
Bibliografia
Carteggio Verdi-Boito, a cura di Marcello Conati, Parma, Istituto nazionale di studi verdiani, 2015, n. 21, pp. 36-38
Media








Arrigo Boito a Giuseppe Verdi, [14/01/1881]
1 / 8